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Neversong, Recensione: incubo reale o realtà onirica?

Atmos Games e Serenity Forge portano Neversong su Nintendo Switch. Il gioco è un action con elementi da platform e metroidvania.

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La dimensione onirica può avere dei punti di contatto con i videogiochi: l’immaginazione e le esperienze vissute aiutano tanto il sognatore quanto gli sviluppatori a forgiare interi mondi potenzialmente sconfinati, mentali o virtuali che siano. Possiamo allora essere un supereroe invincibile, possiamo volare, oppure possiamo essere come Peet, intrappolati in un incubo interattivo chiamato Neversong.

Thomas Brush, l’autore dietro Atmos Games, cambia soggetto e in parte genere dopo il suo ultimo lavoro, Pinstripe, ma non rinuncia al suo stile peculiare né a scenografia dalle tinte oscure, a tratti terrificanti, per la sua nuova opera. In collaborazione con Serenity Forge, il gioco è uscito per dispositivi iOS tramite il servizio Apple Arcade e ora è disponibile anche per Nintendo Switch, PC, PlayStatione 4 e Xbox One. Sfruttando meccaniche da action installate su aree da platforming con elementi da metroidvania, lo sviluppatore ha scelto di raccontare una favola distorta, un racconto che nasce dall’immaginazione fanciullesca e ne fa il perno di una realtà onirica dai tratti genuinamente bambineschi. Neversong è un ipnotico abbraccio spettrale che accantona la complessità ludica di alcuni esponenti per un’esperienza asciutta, raccontata con i tocchi cromatici di una filastrocca.

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“C’era una volta… e poi il coma”

C’era una volta una coppia di amici, Peet e Wren, che amavano esplorare il mondo assieme, giocare, scattarsi delle foto. Un bel dì entrarono all’interno di un manicomio abbandonato per scoprirne i segreti, ma non potevano certo immaginarsi quello che poi è accaduto. Una perfida creatura maliziosamente chiamata Mr. Smile ha catturato Wren e, trascinata a sé, è scomparso nel buio. Peet non è mai stato impavido e impulsivo, la sua vita era già stata segnata dalla dipartita dei suoi genitori e la bambina, la “campionessa” come la conoscono tutti al villaggio, era diventata tutto il suo mondo.

Possiamo allora comprendere perché Peet, mesto, taciturno, sia caduto in coma per il soffocante spavento di un’altra perdita. Quando si ridesta le vie di Red Wind non sono più come le ricordava: gli adulti sembrano essersi volatilizzati, i bambini, isolati, distratti, si muovono irrequieti. Iniziando a indagare, Peet scopre che il paese è stato trasformato dal perfido rapinatore umanoide in un incubo orripilante: i piccoli abitanti sono emaciati, ridotti quasi a fantasmi, mentre i grandi sono marionette assetate di sangue che infestano le vie assieme a insetti e aracnidi pericolosi. Ad accompagnare Peet sarà Bird, una sorta di lucciola parlante che illuminerà il suo cammino in tutti i sensi. Spaventato, confuso, Peet dovrà trovare la sua migliore amica e scoprire il mistero che si cela dietro il villaggio di Red Wind.

Quello che dapprima e ancora formalmente è conosciuto come “Once Upon a Coma” è una personalità da teatro sperimentale che aggrappa il giocatore e lo trascina alla scoperta di paesaggi brulli – mai riccamente complessi o troppo diversificati in termini di level design – e apparentemente vuoti. Quel silenzio spettrale che sembra vivere, scrutarti in ogni angolo buio, mentre un narratore esterno recita in rima le pagine della storia di Peet.

Marionette spettrali e mazze chiodate

Opere come Hollow Knight o Night in the Woods hanno ampiamente dimostrato la plasticità del software videoludico, la sua capacità di portare avanti un racconto profondo, forte come parole su carta stampata. Per farlo, Neversong rinuncia alle sfide sudate del primo per un’avventura semplice nelle premesse, ma congruente alle sue ambizioni, efficace nei suoi propositi. Su uno sfondo in due dimensioni, sarà possibile muoversi in totale libertà, salvo per i muri ora invalicabili, ora distruttibili da nuovi pezzi di equipaggiamento. Tra salti e abbattimenti di oggetti infatti, l’incedere del gameplay è segnato dall’ottenimento di abilità uniche consistenti in una mazza chiodata, uno skateboard o molto altro, inserendo delle ricompense da metroidvania senza la pesantezza di un backtracking estenuante.

A condire il tutto troviamo una serie di piccole ma stuzzicanti sfide opzionali per ottenere dei collezionabili – carte che aggiungono elementi estetici al personaggio – a volte risolvibili solo grazie a un nuovo strumento. Si palesa quindi, seppur oltre le prime battute, la vena metroidvania di Neversong, più diluita rispetto al lavoro di Team Cherry, eppure comunque preziosa. Wren era solita dilettarsi con un pianoforte, ed ecco che proprio quello strumento trova posto in una stanza, una sorta di hub a cui fare ritorno dopo aver risvegliato e sgominato ogni boss, per intonare le melodie che questi ultimi rilasceranno. In una cornice di appena tre ore circa, il pauroso Peet si muove con la leggerezza e l’inconsistenza di un fantoccio, la volontà di una marionetta e la fisicità di un fantasma. I suoi spostamenti paiono a volte poco incisivi e alcuni salti e animazioni piuttosto imprecisi. Come se l’autore avesse voluto fondere le basi narrative con quelle del gameplay.

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Fattore Switch

Dopo il primo debutto, Neversong approda sulla console ibrida tra pregi e relativi difetti. La scarsità dei comandi richiesti, lo stick analogico per i movimenti, un tasto per l’attacco e uno per il salto, rendono l’esperienza facilmente fruibile tanto in portatile quanto in modalità TV. L’inciampo arriva in appena uno o due frangenti, quando probabilmente la mole di contenuti su schermo affatica il codice fino a palesare qualche lieve rallentamento. Da indicare poi che gli spostamenti tra alcune aree sono inframezzati da schermate di caricamento relativamente lunghe.

Un fantasmino per amico

Lo stile artistico è ciò per cui ricorderete sicuramente Neversong, poiché ne è la forza stessa: i personaggi vari, carismatici, ben diversificati, sono tratteggiati come degli zombie infantili. I loro sguardi, come quelli degli avversari più temibili – mai, ribadiamo, in termini di difficoltà – sono penetranti e raccapriccianti. Si aggiunga poi un sound design incisivo, azzeccato, che ravviva pienamente l’atmosfera di nuove tinte spettrali.

Il gioco è doppiato in inglese, un parlato da libro per una buonanotte di incubi per bambini, totalmente localizzato in italiano; a questo proposito va segnalata la presenza di alcuni errori grossolani di traduzione e di grammatica, nulla che possa inficiare lo scorrere della storia. In lingua nostrana è ricco di battutine sagaci, ironiche, comicamente cattive.

Neversong è un’esperienza immersiva inaspettata, sospeso tra sogno e realtà, che viaggia fra una componente artistica unica e sublime e un gameplay semplice, efficiente per le sue ambizioni, sporco di qualche imprecisione. Un titolo indipendente forse da misurare al prezzo proposto, eppure uno da non lasciarsi scappare con la veglia del mattino. Neversong è disponibile dal 16 luglio sul Nintendo eShop a 14,99 euro.

Voto: 7

Pro
Atmosfera e stile artistico peculiari, positivamente spaventosi
Storia semplice ma ben raccontata, condita tra piccole sotto trame
Gameplay semplice eppure gratificante
Contro
Trama troppo breve
Animazioni ridotte al minimo

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