Benvenuti, ma soprattutto bentornati cari lettori e care lettrici. Oramai nove sono i giorni che ci distanziano dal tanto atteso rilascio di Leggende Pokémon: Z-A, che avrà luogo il 16 ottobre. Come avete avuto modo di appurare settimana scorsa, quando abbiamo pubblicato il primo capitolo di “Le Storie di Lumio“, noi di Pokémon Millennium non abbiamo intenzione di lasciarvi soli durante questa attesa. Per l’appunto, oggi, sulle nostre pagine, viene rilasciato il secondo capitolo della trilogia che vede protagonista il personaggio di nonna Lumio, insieme alle sue inedite storie.
Se durante lo scorso appuntamento abbiamo conosciuto l’eroico Greninja, per citarne uno, oggi le storie che verranno raccontate da Lumio avranno come tema principale la Torre Prisma, la Tour Eiffel dei mostriciattoli tascabili, il fiore all’occhiello di Luminopoli, l’elemento che subito viene in mente quando si pensa alla metropoli della regione di Kalos.
Prima che si apra il sipario, vogliamo ricordare che per la realizzazione di questo secondo capitolo, hanno partecipato Tommaso Murtas (Nuova vita a Luminopoli!), Martino Ethan Morlupi (La Torre delle due Luci) e Manuel Gagliano (La notte della Strega di Fuoco). Un ringraziamento speciale ai redattori che hanno collaborato per la realizzazione e la pubblicazione di questo “Atto II”; un ringraziamento in anticipo a coloro che collaboreranno per la stesura futura. Per la copertina, ringraziamo il nostro illustratore Pio, del quale potete vedere altri lavori sul suo profilo Instagram.
Le Storie di Lumio – Parte Seconda: Il Mito della Torre
Era passato qualche mese dall’ultimo incontro tra nonna Lumio, Calem e Serena. Si era fatta estate ed era un periodo abbastanza tranquillo; la città era particolarmente deserta, causa le temperature alle stelle. Come ormai d’estiva consuetudine, nonna Lumio era costretta a tenere con sé i suoi due nipotini: la loro Maman era occupata in chissà quale faccenda di vitale importanza. Insomma, utilizzava la solita scusa! Seppur non nelle condizioni di rifiutare, un po’ obbligata, la Mamie riusciva a trarre ciò che di bello e speciale poteva nascere dalla convivenza con i due bambini: il loro magico rapporto basato sulle vecchie storie di Kalos.
Ogni sera era un’occasione per risvegliare in Lumio la fiammella di qualche vecchia leggenda che era vicina a dimenticare, magari dimenticata anche dalla massa, o magari semplicemente inventata da lei. Chi lo sa! Sta di fatto che, narrando, i suoi occhi bruciavano d’ardore e d’amore verso i miti che la avevano accompagnata per tutta la vita, un po’ come dei compagni. Per questo, seppur non lo desse a vedere, in cuor suo non smetteva mai di ringraziare i suoi nipoti che, stregati dai suoi racconti, la facevano sentire felice.
Quella sera in particolare, il cielo scuro era mitigato da stelle e luci fisse. Costellazioni come quella di Ursaring e di Milotic affrontavano e sfidavano la logica della luce artificiale, illuminando a fatica i tetti di Luminopoli, ma riuscendo comunque a farsi scorgere con successo. Sotto a quel cielo interdetto, sedevano su delle seggiole in legno Calem e Serena, aspettando nel giardinetto della campidanese, tenuta estiva della nonna leggermente limitrofa al centro città, che Lumio arrivasse a intrattenerli.
Non ci volle molto, Lumio fremeva quanto loro all’idea di raccontare qualche storia. – Bene, bambini, state buoni che oggi abbiamo tanto di cui parlare. In primis, voglio raccontarvi di due giovani ragazzi che hanno stravolto Luminopoli trasformandola nella meraviglia che è oggi. In secondo luogo, rimanendo sempre qui, a Luminopoli, voglio parlarvi di un passato più che remoto e di una grande guerra che imperversò in queste terre. Infine, concluderemo con una leggenda più nota, di quelle che la vostra Mamie dovrebbe raccontarvi prima di andare a dormire, la storia di un astro un po’ speciale. –
Nuova vita a Luminopoli!
Quando questa storia ha avuto luogo, Luminopoli non si presentava ancora nelle sue vesta possenti e regali, come la conosciamo noi. Era, infatti, una città ancora in costruzione, con il suo nucleo, i suoi abitanti, le sue vie, ma mancava del cambiamento che l’ha trasformata nel gioiello quale è oggi.
Tra luci soffuse, colorate, palazzine in costruzione e vicoletti claustrofobici, si respirava un’aria ancora rudimentale, imperfetta, ma che attirava come falene artisti e giovani, che vedevano in quella prima Luminopoli il luogo perfetto dove cercare fortuna. Si assisteva, insomma, a uno dei momenti di maggior splendore non solo della città, ma anche dell’intera regione di Kalos. Pian piano, tutti i villaggi rurali si trasformavano prima in cittadine e poi, i più ambiziosi, in vere e proprie metropoli.
In questo ambiente carico di energia creativa, veniva covata e nutrita una rivoluzione. Badate bene! Non una rivoluzione fatta con baionette e pistolettate, affatto, ma un cambio di rotta puramente artistico, per conferire nuovo aspetto a Luminopoli. È proprio in quell’epoca che le venne conferito il titolo di “città delle luci“, per via non solo delle caratteristiche fiammelle artificiali che pullulavano per la città, ma soprattutto per un dettaglio più importante, da non sottovalutare…
Nella zona est della città, vivevano due orfanelli, un ragazzo e una ragazza, due giovani dalle tasche vuote, ma con l’animo ricco. Campavano con quello che capitava loro, con quello che riuscivano a raccattare durante il giorno. Un giorno pulivano latrine, l’indomani chiedevano l’elemosina, quando erano fortunati riuscivano a vendere volantini. Durante questa vita di stenti, struggente e infelice, gli si propose, involontariamente, un’occasione irrifiutabile.
Proprio in uno di quei foglietti occasionali che capitava di avere sotto mano ai fratelli, era illustrata un’allettante offerta, irresistibile e alla quale non era quasi possibile rifiutare. “Nuova vita a Luminopli! Ricostruiamola insieme partendo dalla Torre. Cerchiamo Operai, lavoro sicuro!“. Questo era il contenuto del messaggio, senza dubbio con una punta propagandistica, considerata il continuo fermento che caratterizzava sia i cantieri, che i centri politici. Ma a loro non interessava affatto, era l’occasione per un lavoro stabile.
Era passata qualche settimana quando i lavori iniziarono. L’area a cui vennero assegnati i due ragazzi era collocata, a grandi linee, al centro della città, nell’incontro tra i così detti Percorsi Elisi, vie principali di Luminopoli. Lì, si creava l’ambiente perfetto per una piazza alquanto spaziosa, sulla quale, secondo il progetto, un’enorme torre avrebbe dovuto prendere il posto di un piccolo monumento di roccia. Il suo significato? Era divenuto sconosciuto con l’avanzare degli anni, ma, anche se non lo fosse, non sarebbe utile ai fini della storia.
Perciò, i due fratelli presero parte alla realizzazione di una delle strutture artificiali più grandi dell’intera regione di Kalos. Loro, però, erano all’oscuro dello scopo dell’impiego. Presero così a costruire, lentamente, ma senza sosta. Un blocco alla volta, trave per trave, impalcatura dopo impalcatura, la Torre che prendeva forma inesorabilmente, si protraeva fino all’infinito, infrangendo l’azzurro e sfiorando la luna.
I nostri protagonisti furono tra i pochi a non abbandonare: con l’altitudine crescente, gli operai erano costretti a stabilirsi e vivere sulla costruzione durante la notte e i momenti di riposo. Questo mise alla prova i più, ma non fece effetto ai ragazzi, così disperati da non disdegnare la baraccopoli improvvisata.
Il lavoro, protrattosi per diversi mesi, giunse al termine in modo brusco, seppur prevedibile. Lo spazio per costruire era semplicemente esaurito, nulla di più, nulla di meno. Si arrivò al punto in cui, oramai rimasti solo la coppia di fratelli, la torre raggiunse il suo apice: inimmaginabile, mai visto prima, ma pur sempre il suo massimo apice. Loro sognavano di salire, di evadere dalla comune vita che li struggeva, quella da cui erano scappati durante quei mesi, mirando al cielo. Ma non fu possibile, furono costretti a scendere.
Quel luogo da loro realizzato, senza che lo volessero, divenne proprio la base di una nuova città. Il via di una rivoluzione architettonica e artistica che ha preso piede grazie a due semplici ragazzi che non si sono lasciati intimorire dalle grandezze, ma che, imperterriti, hanno cambiato tutto.
Quel luogo oggi è chiamato Torre Prisma, lo conoscerete bene, immagino. Sorge sulle spoglie di un antico monumento, narra le storie del passato, del presente e, chi lo sa, magari anche del futuro.
Vi domanderete i loro nomi. Sconosciuti, nessuno li ricorda. La loro memoria, viene tramandata con l’epiteto di Ave e Avus, in onore del loro ruolo fondamentale nella realizzazione della Torre Prisma. Si narra che i loro discendenti veglino ancora oggi sulla Torre, preservandola e mantenendo alto il suo nome e il suo ruolo a Luminopoli.
La Torre delle due Luci
– Sapete, bambini, la vicenda che voglio narrarvi adesso è ambientata in un lontano passato. Pensate che, a quei tempi, di Luminopoli non esistevano neppure le vie più importanti; di tutto ciò che oggi contorna il centro città non c’era la benché minima ombra o idea. Una cosa, però, non è mai stata assente nella nostra grande città: la torre che svetta al centro. Avete studiato a scuola la sua creazione, dico bene? Ecco, scordatevi tutto. Quel monumento è, fin dalla sua prima luna, al centro di storie metropolitane, ma la reale versione dei fatti è quella che vi sto per raccontare…-
Molto tempo fa, quando ogni angolo di Kalos era ricoperto da immense foreste, quando le stelle erano ancora ben visibili nel cielo e venivano chiamate per nome, in una fertile pianura al centro della regione vivevano due popoli. Da una parte, il popolo delle montagne, animato dai dominatori del ferro e della fucina, che costruivano strumenti, armi e rudimentali macchine che solcavano il suolo con il rombo del metallo da loro modellato. Dall’altra, il popolo delle coste, con coloro che erano conosciuti come i figli del vento e del bosco e che veneravano la natura, condividendo tutto con i Pokémon che la abitavano, per loro non solo alleati, ma fratelli e amici fidati.
Per anni, i due popoli coesistettero in un fragile equilibrio, uniti da scambi sia commerciali che interpersonali, da parole e antiche promesse. Ma il cuore umano è come il vento: cambia spesso direzione senza avviso. Il popolo delle montagne iniziò insistentemente a scavare, con i suoi macchinari, profonde miniere, considerate sacre dal popolo delle coste, alla ricerca di un misterioso cristallo blu chiamato Pi-Cendre Pietra. Credevano fermamente, infatti, che fosse in grado di potenziare la vita dei Pokémon e prolungare quella degli uomini, se non persino di donare la vita eterna.
Il popolo delle coste considerava quel cristallo come il “Sangue della Terra“, qualcosa da proteggere e non da sfruttare per vili motivazioni. Ritenendo che il cristallo fosse sacro e che non bisognasse risvegliare i suoi antichi poteri, pena gravissime conseguenze, il popolo delle coste tentò di mettere in guardia il popolo delle montagne dal portare a termine il loro piano, ma quest’ultimo non diede ascolto agli avvertimenti ricevuti. E così, una volta giunto il tramonto, le prime frecce furono scagliate e quando, finalmente, giunse il calare della notte, il sangue aveva già bagnato le radici degli alberi.
La guerra, passata alla storia sotto il nome di “Guerra del Sangue Silente“, non fu affatto breve. I Pokémon vennero trascinati all’interno del conflitto e utilizzati come armi viventi, per decenni. Interi branchi di Noivern lanciavano urla di terrore sulle città del popolo delle montagne, mentre i Magmortar alimentavano fuochi che bruciavano intere foreste sacre al popolo delle coste. I cieli divennero neri di fumo, la terra sterile e i fiumi, a cui nessuno osava più attingere, si tinsero di un rosso cupo.
Giunse una delle offensive finali, tra le più brutali e sanguinose: in una sola notte ben venti villaggi furono ridotti in cenere e, con loro, anche i Pokémon. Il dolore era così grande che i pochi sopravvissuti cominciarono a fuggire, alcuni smisero di combattere, altri ancora impazzirono, vagando incessantemente per quello che era rimasto delle antiche foreste. La natura stessa, ora, si rivoltava: i terremoti, le tempeste e le malattie colpirono quegli stessi uomini che avevano dato inizio a tutta quella sofferenza, facendo pagare loro un prezzo altissimo. Fu allora che il cielo cambiò improvvisamente colore, portando con sé i Custodi, l’Albero e l’Ala.
La leggenda narra, infatti, che, quando il mondo rischia di spezzarsi in due ed è sull’orlo della fine, l’Albero e l’Ala scendono per vegliarlo. Così, in un attimo, un lampo azzurro squarciò il cielo, seguito subito da un’ombra rossa come la morte che si stagliò sopra ogni cosa.
Dal cuore della foresta spezzata emerse l’Albero dalle lunghe corna, che brillavano come stelle nascenti anche al sole. Ogni suo passo riportava vita alla povera terra bruciata e gli alberi, martoriati dai colpi delle armi, tornavano verdi al suo solo passaggio. Ma dall’altra parte del cielo calò l’Ala, con le ali spalancate come in un abbraccio, assorbendo ogni energia viva intorno a sé.
I due esseri, opposti e allo stesso tempo complementari, non parlavano con parole, non ne avevano bisogno in fin dei conti. Ogni loro gesto era legge, ogni sguardo un decreto impossibile da ignorare. Dove l’Albero camminava, la guerra si placava; dove l’Ala volava, tutto si spegneva. I due popoli, colti da un misto di terrore e venerazione, compresero che non era la vittoria che li avrebbe salvati, non era la sopraffazione sull’altro che avrebbe cambiato le cose, ma la semplice resa a quello che era il ciclo naturale delle cose e la pace reciproca.
La guerra doveva cessare e oramai risultava sempre più chiaro ed impellente. I leader superstiti delle due fazioni si incontrarono in una radura, insieme a ciò che era rimasto dei due popoli, per decidere sul da farsi. Immersi nel silenzio, lasciarono cadere le armi e cominciarono a scavare nel terreno che si era appena rinvigorito. Non fosse stato per la paura nei confronti dei Custodi, sicuramente non avrebbero mai collaborato, non in quel modo almeno. Ma l’urgenza della sopravvivenza è una lingua universale che nessuno può permettersi di ignorare, che spinge alle più impensabili collaborazioni.
Per interi giorni e intere notti, sotto la guida dei saggi e degli sciamani, sia uomini che Pokémon riuscirono a costruire insieme, con le loro mani, qualcosa che non si era mai visto prima: una torre, alta come la paura che avevano provato e sottile come la speranza che stavano piano piano riscoprendo. Al suo apice erano situate due lastre di pietra: una intarsiata con simboli che richiamavano la linfa e la vita, l’altra nera, ma tanto liscia da riflettere il cielo.
La eressero come offerta ai Custodi, come supplica per non essere dimenticati, e la chiamarono Torre delle Due Luci. Voci tramandano che l’Albero si avvicinò alla torre e toccò la lastra chiara, facendo fiorire il terreno circostante, mentre l’Ala la sorvolò senza distruggerla, lasciandosi alle spalle un silenzio carico di rispetto.
Quando i due esseri svanirono oltre l’orizzonte, la torre rimase lì, simbolo di un patto pacifico non scritto: finché la torre resterà in piedi, l’equilibrio sarà mantenuto. Fu allora che nacque l’idea di un luogo dove Pokémon e uomini potessero incontrarsi non per guerra e paura, ma per conoscenza e amore. Costruendo un legame indissolubile di speranza e mutuo rispetto.
Col tempo, i nomi del popolo delle montagne e del popolo delle coste scomparvero. Le radici della torre che avevano costruito insieme furono inglobate da nuove città e nuovi popoli le usarono come basi per le proprie costruzioni, ignari della loro storia e del loro originario scopo. I racconti vennero dimenticati, ridotti a mere favole per bambini. Ma ancora oggi, sotto la struttura moderna che la sovrasta, si dice che vi sia un frammento di quella prima torre: solo due lastre, una chiara e una oscura, rivolte verso il cielo, in attesa che i Custodi Eterni tornino a vegliare sulla regione Kalos per ristabilire l’antico ordine.
La notte della Strega di Fuoco
– Sapete, tanto tempo fa, nella città di Luminopoli, gli abitanti cominciarono a parlare di una figura misteriosa, le cui apparizioni avvenivano solamente nelle notti più buie. Molti cercarono di capire a cosa stessero assistendo, ma nessuno riuscì mai a trovare una vera e propria risposta. Il mistero prese un nome tra chi affermava di averlo visto: la notte della Strega di Fuoco. –
La misteriosa immagine diventò protagonista dei racconti degli abitanti della regione di Kalos. Si narrava fin dal passato la storia di una creatura dalla strana forma e la coda di fuoco, attirando la curiosità di adulti e piccini. L’ombra fu l’unica cosa che la gente poté conoscere di essa, messa in risalto nelle notti di luna piena, quando il cielo era più limpido. Sembra che la figura abbia sempre preferito mostrarsi durante le sere estive, periodi in cui la gente condivideva momenti di festa e felicità, magari intorno ai falò, senza rivolgere lo sguardo verso l’alto.
Chi, però, passava le notti a osservare gli astri, avrebbe potuto notare una scia luminosa, capace di illuminare anche i cieli più bui. Tutti furono affascinati da quel “miraggio”, a tal punto da cercare di inseguire il suo percorso, sperando di trovare qualcosa alla sua fine. Le loro aspettative, però, venivano sempre deluse e di qualche indizio che portasse alla vera identità della Strega di Fuoco non vi era neanche l’ombra. Alcuni la confusero con una stella cadente, esprimendo dei desideri a ogni suo avvistamento.
Nessuno riuscì mai a distinguere la sua vera forma e solamente voci e speculazioni furono tramandate fino a tempi più recenti. La credenza popolare fu che potesse essere un qualcosa vivente, di statura alta e con la testa somigliante a una specie di cappello, se guardato dalla giusta angolazione. Sembrava che potesse volare su uno strano oggetto; infatti, si pensava che le sue fiamme provenissero proprio dal mezzo che cavalcava nei suoi viaggi notturni. In molti dissero che si trattasse di una scopa e, per questo, alla figura misteriosa fu affidato il nome di Strega di Fuoco.
Troppo rapide le sue apparizioni per essere studiate con cura, per alcuni si trattò solamente di un colpo d’occhio, un’illusione causata dalla volontà di voler scoprire qualcosa di nuovo e misterioso. Ci fu dello scetticismo sulla realtà di questi racconti, quindi; ma, se vi era chi li metteva ancora in dubbio, ci fu anche chi ne difese fermamente l’esistenza. Chi disse di averla avvistata non potrà mai più testimoniarlo, ai giorni d’oggi, non essendo più parte del mondo, ma degli occhi più moderni continuarono a raccontare ciò che videro.
Nella città più grande di Kalos, Luminopoli, alcune insistenti voci ripresero a farsi sentire riguardo quel che diventò una leggenda per tutta la regione. Guidati dalla volontà di far tornare a credere i cittadini nell’esistenza della Strega di Fuoco, alcuni istruirono i propri compaesani a guardare verso il cielo:
– Osservate gli astri, amici! La Strega di Fuoco solcherà nuovamente le notti di Luminopoli e tornerà a condividere le sue fiamme con noi! –
Ma la volontà, seppur ferrea, di quei pochi che credevano ancora alla magia di quella misteriosa figura, non fu mai ripagata. Per molto tempo, la Strega di Fuoco non fece più la sua comparsa, venendo dimenticata a poco a poco. Un evento considerato incredibilmente raro, divenne invece solamente una credenza, un racconto che raffigurava i desideri degli abitanti del passato i cui occhi, rivolti al cielo, cercavano una luce a cui rivolgere le proprie speranze.
Molti anni passarono e, poco dopo la costruzione dell’enorme struttura al centro della città, qualcosa cambiò: nel punto più alto della Torre Prisma, la cui punta sembrava poter toccare il cielo, delle fiamme ripresero a bruciare. No, non provenivano dalla Torre stessa, ma da qualcosa che si librava in un volo notturno. Una ristretta quantità di abitanti della città riprese a esprimere i propri desideri come in tempi più lontani veniva fatto, vedendo passare quella figura infuocata nella notte.
Gli occhi più esperti di chi la ricordava ancora, che da bambini avevano visto le origini di quelle fiamme, riconobbero subito quell’apparizione. Nonostante fosse passato molto tempo, furono lieti di poter vedere e sentire ancora una volta quel calore. In certe occasioni, dal cielo cadeva anche qualche fiammella ribelle, liberatasi dalla scopa della Strega e in discesa libera verso le strade, non toccando mai terra. Come per magia, i fuocherelli si fermavano sempre a mezz’aria, trattenuti da qualcosa di invisibile e, dopo aver bruciato per un brevissimo periodo di tempo quel che sembravano dei pezzetti di legno, si spegnevano senza lasciare traccia.
Nell’antichità, in molti cercarono di catturare quelle fiammelle, che sembravano poter portare il cielo stellato un po’ più vicino alla terra ferma. Nessuno riuscì mai nel suo intento, però, come se la stessa creatura, causa di quelle affascinanti lingue di fuoco, stesse facendo un gioco con chi notava la sua presenza. L’idea che potesse essere un Pokémon a sollevare tutte quelle domande fu coltivata nelle menti, sia di studiosi che di gente comune, senza mai riuscire a trovare una risposta. Proprio per questo, data l’inabilità di trovare una soluzione scientifica, la Strega di Fuoco diventò una leggenda, sia di Luminopoli che di tutta Kalos, facendo pensare che si trattasse di una stella misteriosa, la cui apparizione avveniva senza alcun preavviso o di un fenomeno senza abbastanza informazioni per poter essere confermato.
Nel cuore dei sognatori, la risposta non fu mai quella giusta e la ricerca di quel particolare “astro”, così diverso da tutti gli altri, continuò senza mai fermarsi. Una cosa rimase certa, però: durante le notti della Strega di Fuoco, nelle vie di Luminopoli e nelle Poké Ball degli Allenatori, ai Delphox più giocherelloni piaceva sempre sfuggire alle attenzioni dei loro amici umani.
– No, Maman, non è finito, vero? So che quando ti fermi così significa che hai finito! No! – Esplose Serena. Mentre la sorella si impegnava a strillare, Calem, distaccato, osservava il cielo, un po’ involontariamente, un po’ alla ricerca di qualcosa.
Una luce prima viola, poi rossa, quindi arancione si intromise brusca ma silenziosa in cielo, imbrunito ormai da qualche ora, facendosi notare da pochi. Nonna Lumio non guardava su, ma incrociò gli occhi di Calem mentre le loro iridi cambiavano in pochi attimi tre colori diversi, come illuminati da qualcosa che il bambino osservava in cielo. Calem lo sapeva, nonna Lumio anche, Serena strillava. I desideri si realizzano. Sullo sfondo la Torre Prisma si mostrava fiera come non mai.
Si conclude qui il secondo ciclo di storie di nonna Lumio. Questo, però, non è l’ultimo appuntamento con la nostra nonna di Luminopoli, perché martedì 14 ottobre 2025 uscirà il terzo (e conclusivo) capitolo della sua storia, dove incontreremo nuovi personaggi e nuove storie. Nonna Lumio e i suoi nipotini vi aspettano!
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